M. e le sue pecore all’eliporto di Amatrice; edificio di Amatrice; cane solitario sulla strada principale di Amatrice; ciò che resta di Amatrice; Monti (?); un anziano che zappa a San Tommaso fraz. di Amatrice; G. e l’edicola della Madonnina di San Tommaso fraz. di Amatrice; bambola tra le macerie a Collalto fraz. di Amatrice; ciò che resta della chiesetta di Ritrosi fraz. di Amatrice; un guscio d’uovo lungo il sentiero; Chiesa dell’Icona della Madonna Passatora (luogo in cui si sposavano tutte le coppie della conca amatriciana); prati sui monti delle Laghe; E. nella sua stalla di mucche da latte; M. con il suo gregge verso la sua azienda agricola; una nuvola a forma di cavallino.

La casa è il luogo in cui i figli imparano la lingua dei padri, in cui si nutrono e crescono diventando quello che sono, la casa è custode della memoria e della nostra identità. È sempre stato così, dai tempi remoti in cui Hestia risiedeva nel megaron, al centro della casa accanto al suo focolare rotondo come un ombelico. L’omphalos che radica la casa alla terra, centro fisso e sacrosanto  da cui si organizza e orienta lo spazio umano individuale e pubblico. Ombelico e cordone ombelicale, radice del ventre e radicamento dell’uomo, radicamento di un rampollo nella casa paterna e radicamento di una generazione nella generazione precedente.

L’uomo e la sua casa, quelli della conca amatriciana è un viaggio ad Amatrice e nelle sue frazioni per raccogliere, fra le case distrutte, semplici ricordi del paese prima della distruzione, una raccolta di memorie individuali per ricomporre l’immagine di un paese che “non c’è più”, come disse il sindaco con voce rotta all’alba del giorno dopo. Una raccolta di ricordi per dare un nome a ogni singolo rudere: “questo non è un mucchio di macerie, è la casa che ha costruito mio padre”, per dare un volto e una voce a ogni abitante tenacemente aggrappato alla sua terra.

Io voglio raccontare la forza del radicamento e l’amore per la propria terra, voglio celebrare il coraggio di chi resta.

Come risorge un uomo dalle macerie della sua casa? Cosa salva? Cosa ricostruisce? Come si ricompone una comunità spezzata, come riorganizza il suo spazio collettivo? Quali tracce imprime in noi la nostra terra natia? Le risposte conto di trovarle nei racconti della gente di Amatrice.

È già successo: Amatrice è già stata distrutta, almeno una volta, ed è già stata ricostruita, almeno una volta. Era il 1639 quando

“Il terremoto del tutto sterminò, subissò, e disfece Case, e Palazzi, onde a mala pena vi si scorgono le vestigia della Matrice.”

Carlo Tiberi Romano ci ha lasciato il vivido ricordo di quel terremoto nella sua “Nuova, e vera Relazione del terribile e Spaventoso Terremoto, successo nella città della Matrice e suo stato” scritto “per memoria d’un Caso così miserando, e lacrimevole

Durò il Terremoto sino alle nove hore, e poi cessò a fatto; ma non però si assicurarno di entrare nelle meze disfatte Case, e habitationi: anzi furono alzate tende in campagna, dove con ogni ordine si fecero Processioni con portare Immagini della Santissima Vergine, e altri Santi, battendosi ciascuno con ogni asprezza, e sino i Fanciulli esclamando misericordia si percuotevano co i sassi. Le Donne si graffiavano il volto, si stracciavano i panni, e strappavansi i capelli.

A quell’epoca il terremoto era sentito come una punizione divina per i peccati dell’uomo, e il racconto del Tiberi Romano aveva lo scopo di colpire l’animo degli “insensibili alla riverenza Divina”. Oggi molte cose sono cambiate : il terremoto non è più una punizione divina per i peccati commessi. Donne e Fanciulli non si battono più per espiare le colpe della comunità. Ma altre cose sono sempre le stesse: come nasce spontanea l’esigenza di rendere testimonianza dell’evento incredibile, così rimane ferma l’esigenza di ricostruire dove si è abitato, di rimanere a vivere dove si è vissuto, dove sono seppelliti i propri cari, perché le case degli antenati sono come le radici per un albero: danno linfa, tengono attaccati alla vita, permettono la memoria.

Dalle tende in campagna c’è il bisogno di tornare alle case.

 

 

Progetto finanziato con il contributo di:

Mikez; Silvano Salviato; Marina Capasso Tosolini; Lisa fantinato; Rodolfo Sbrojavacca; Giovanni Guerrato; Dragan Garic; Paolo Micossi; Barbara Tampieri; Marinella Catellani; Giuliano Pavan; Marco Fornasier; Daniel Amboldi; Alberto Tarabella; Benedetto Ponti; Ennio Contuso; Sergio Panzieri; Ludovico Argentieri; Vittorio Bova; Luigi Guiducci; Antonello Zedda; Alessandro Sbarufatti; Angelo Selvini; Gian Paolo Barone; Franco Campese; Francesco Cerra; Manuel Frosini; Marco Zorzi, Stefano Zannoni; Matteo Apollonio; Fabio Giuliani; Francesca Salviato; MIska Tosti; Giulio (il figlio di Lisa Fantinato); Domenico Barillaro; Valentina Tesio; Dausto Cobianchi; Franco Rumiz; Renato Antoniazzi; Carmen Gallus; Giorgio Pavan; Paolo Cianciabella; Luigi Pecchioli; Roberta Capasso; Marco Tee; Franco Pagani; Francesco Bradanini; GianCarlo Antonelli; Aurelio B.; Martina Carletti; Gabriele Boscolo; Marco Mancini; Paolo Sanesi; Luca Buldorini; Enrico Rinaldi; Aldo Motzo; Massimo Cattadori; Rosa Di Maggio; Davide Macera; Giuseppe Martino; Andrea Zambrini; Mario Rossi; Edda Manghi; Elena Franceschini; Cristian Marcianelli; Ignazio Cuccia; Cristian Serpi; Maria Rita Mottola; Carlo Botta; Giovanni e Maria Baiano e Vito Gulli.